sabato 14 giugno 2008

Esercizio di stile

L'autobus della linea S, che collega regolarmente il Parc Monceau e la Porte de Champerret, era affollato come al solito. Mancavano pochi minuti a mezzogiorno e, nonostante la canicola estiva, la gente si pressava con ostinazione nel ventre del mezzo. Un giovane dal collo lungo e scarno si reggeva scomodamente alla porta d'uscita con una mano, mentre l'altra mano agitava l'aria satura con un curioso copricapo viola a tesa larga e cinto di un'insolita cordicella (anziché di un nastro, come si converrebbe).

Bemolle, da par suo, spingeva strenuamente con il braccio destro contro l'acciaio dell'autobus per evitare un'ulteriore, probabilmente fatale, compressione della sua gracile cassa toracica, mentre con la mano sinistra si concedeva di scaccolarsi con strafottenza. Al tempo stesso, in un virtuosistico esercizio di multitasking tipico della sua personalità poliedrica, si trastullava con un calcolo alla Fermi della quantità di sudore che traspirava dalle pelli dei viaggiatori per unità di tempo e di superficie. La sua fermata era ormai passata da un pezzo ma, come abbiamo visto, egli era per il momento dedito a faccende dagli esiti potenzialmente ben più esiziali di un trascurabile ritardo nello svolgimento dei suoi progetti immanenti.

Se dunque persino la concentrazione unwavering di uno stoico pensatore come Bemolle fu disturbata dagli strepiti gallinacei del giovane col cappello, si possono trarre immediate conclusioni sulla portata della causa di tale commozione. Difatti, di lì a poco apparve chiaro a tutti gli astanti che il ragazzo accusava un altro passeggero di pestargli i piedi apposta ogni volta che si apriva la porta di uscita e la gente si spintonava per emergere dal veicolo; e se ne lagnava in un registro insopportabilmente acuto della gamma di frequenze accessibile alla laringe umana.

« In sterquilino pullus gallinaceus dum quaerit escam, margaritam repperit », recitò Bemolle tra sé e sé; ma mal gliene incolse. Il posto a sedere accanto a lui si liberava appena e già il polliforme passeggero vi si gettava a corpo morto, senza concedere diritto di replica all'altro viaggiatore e soprattutto senza accorgersi dell'unremarkable presence di Bemolle; e di questo, in tutta onestà, non si sa se gliene si può fare una colpa. Bemolle fu raggiunto da una subitanea ginocchiata alla tempia e perse immediatamente i sensi, ma ciò non compromise la sua postura eretta fintanto che la densità di corpi all'interno dell'automezzo non scese al di sotto di una soglia critica che nessuno conosce con esattezza ma che gli esperti stimano essere compresa tra 3.3 e 3.9 persone/m².

Quando Bemolle riprese i sensi, l'autobus semivuoto transitava pigramente nei pressi della Gare St-Lazare. Bemolle prese mentalmente nota della pressione insistita esercitata dalla filettatura di una grossa vite sulle sue gengive e della spacevolezza della sensazione che ciò gli procurava, risolvendosi con decisione ad evitare il ripetersi della circostanza. A mano a mano che egli riprendeva possesso e controllo delle sue cagionevoli membra, la sua quota rispetto al pianale dell'autobus aumentava, e nel giro di poche decine di minuti, Bemolle ebbe finalmente la possibilità di sostituire al monotono abbacinamento del cielo parigino una più edificante visione della Cour de Rome; e fu lì che egli riconobbe il ragazzo dal cappello bizzarro, a passeggio con un amico che gli elargiva saccenti consigli sul posizionamento dei bottoni della di lui mantella.

Fantasmi

— Desidera qualcos'altro, monsieur tenònte? – interloquì l'affabile commesso con un impercettibile cadenza gallica.
Un altrettanto impercettibile cenno della fronte espresse chiaramente le volontà del gendarme che rapidamente si allontanò dal baracchino del fruttivendolo all'angolo tra Avenue de Villiers e Place du Maréchal Juin. Numerosi passanti si accalcavano sotto una pensilina, sia per proteggersi dai dannosi raggi U.V. che per attendere uno dei numerosi autobus che a quell'ora instancabili servivano i parigini negli spostamenti pre-prandiali.
Solo un uomo, diversamente dalla folla, sostava appoggiandosi elegantemente alla palina che contraddistingueva la fermata, non disdegnando di concedere qualche morso alla succosa Golden Delicious recentemente acquistata.
Dicono che sia difficile trovare dei momenti di calma in una metropoli tentacolare come Parigi, ma il tenente Tenebra aveva evidentemente saputo fiutare il delizioso tracciato per una perfetta pausa pranzo già dopo pochi mesi che si era trasferito nella capitale francese.

All'arrivo dell'autobus della linea S, Tenebra fu uno dei primi a lasciare l'impronta di una nuova scarpa sui putridi scalini della vettura, non riuscendo tuttavia a fare un solo passo di più. Senza perdersi d'animo, e a dispetto della insopportabile calura estiva, si strinse nell'inseparabile impermeabile, con la faccia premuta contro il vetro della porta centrale, e attese serenamente che il mezzo pubblico lo conducesse nelle adiacenze di Parc Monceau.
Pur essendo poche le fermate che lo separavano dal luogo che gli avrebbe presto donato intimità e relax, l'ufficiale non poté esimersi dal tenere ben desta la sua attenzione sulle molteplici realtà circostanti. Una di queste aveva luogo nella sua stessa scatola cranica e gli snocciolava per l'ennesima volta un dettagliato resoconto degli eventi che l'avevano portato a spostarsi così tanto da quelle quattro sudice mura che costituivano la sua alcova; più ci ripensava e più il suo animo indagatore si meravigliava dinnanzi all'epocale alone di incertezza che in maniera alquanto imbarazzante circondava i recenti avvenimenti di cronaca locale. Perso in maniera irreparabile nel flusso di pensieri coscienti che lo travolgeva stesso all'interno del proprio io, “Le reinard” (appellativo che si era già guadagnato presso la caserma di Boulevard Pereire) non si fece per nulla infastidire dagli schiamazzi che riecheggiavano all'interno della vettura e che avevano per protagonista, nonché fonte sonora, uno strambo personaggio oviforme che platealmente sottolineava con ampi gesti delle braccia le invettive lanciate a carico di un non meglio identificato bersaglio.

Quando il conducente dell'autobus, con una discutibile manovra, decise di eccedere nell'applicazione di una pressione sul pedale del freno, qualcosa riportò la mente del gendarme di nuovo saldamente piantata negli istanti attuali. Uno sparuto gruppo di persone abbandonava i seggiolini di plastica per dirigersi verso l'uscita mentre un altro gruppo, stranamente composto da un numero superiore di individui, lottava con le unghie e con i denti per accaparrarsi forse l'ultima possibilità di dare tregua alle membra affaticate dalla posizione eretta.
Un giovane piccolo uomo, allentando la solida presa che lo teneva incollato all'acciaio dei sostegni, manifestò timidamente l'intenzione di conquistare uno degli agognati posti a sedere ma fu istantaneamente e violentemente raggiunto dallo stesso tizio protagonista del precedente baccano.
Ebbro delle memorie e dell'esperienza che tanti anni nell'arma gli avevano gentilmente donato, Tenebra riconobbe repentinamente in quel gesto qualcosa di diverso dalla semplice ricerca del posto a sedere; qualcosa che solo chi ha visto più e più volte il crimine negli occhi, chi ha giocato almeno in un'occasione a dadi col destino, può così subitaneamente riconoscere.
Il piccolo uomo, dall'aria chiaramente confusa e stordita, mosse un incerto passo verso il sedile mentre già la sua tempia rispettava l'appuntamento con una decisa ginocchiata; e mollemente si accasciò al suolo.
Con decisione, il tenente avanzò tra la folla verso il luogo del misfatto ma l'autobus già si accingeva a riprendere la sua corsa; quando finalmente poté vedere il volto del proprietario del ginocchio dolorifero, ritirò all'istante la mano che già si era infilata nell'impermeabile e stringeva il calcio della pistola. Conosceva quell'uomo. Ma mai credeva che avrebbe potuto trovarlo lì, su un anonimo autobus in pieno centro di Parigi, mentre intercettava con una manovra da manuale un tipetto innocuo che sembrava uscito da un libro fantasy.
Decise con risoluta freddezza che avrebbe aspettato ancora qualche istante, coperto dalla sudata folla, per essere certo di non essere caduto in uno dei tranelli della sua prolifica immaginazione. Il malvivente si era calato sul corpo dell'ometto e, mascherando il gesto col quale rovistava rapidamente nelle tasche di costui, lo mise goffamente a sedere nel posto rimasto libero.

A poche fermate da Gare St-Lazare, una cospicua percentuale dei passeggeri a bordo dell'automezzo si spostò verso le uscite e si liberò della disgustosa atmosfera palustre che si era ivi creata, lasciando poche accaldate persone ad accompagnare l'autista verso l'ultima fermata di quella corsa; tra queste, l'indefesso ufficiale ebbe premura di occupare una posizione di vantaggio nei confronti dei suoi interessati mettendosi alle loro spalle.
Prima di giungere a destinazione, il tenente Tenebra avanzò sicuro verso il sedile dove l'ometto giaceva esanime e rapido poggiò la stanca mano sulla spalla del vicino passeggero; quando questi si girò, il gendarme poté leggere nei suoi vili occhi il terrore e la consapevolezza di chi si trova di nuovo faccia a faccia col passato.
— Ci incontriamo di nuovo, Arturo... — esordì la voce profonda di Tenebra.